Alcune donne palestinesi ricorrono alla fecondazione in vitro per non arrendersialla prigionia dei loro mariti e con coraggio allevano i loro figli da sole, in una zona di conflitto. Nel libro Habibi, premiato quest’anno al World Press Photo2020, il reporter Antonio Faccilongo ne racconta la storia.
Habibi in arabo vuol dire “amore mio” e quella custodita sotto questo titolo è una storia d’amore, ma anche di resistenza, di coraggio e di ottimismo. Protagoniste sono alcune donne che vivono nei campi profughi palestinesi, mogli di prigionieri detenuti nelle carceri israeliane, che decidono di diventare madri ricorrendo alla fecondazione assistita con lo sperma dei loro mariti, trafugato con vari sistemi, poiché sono vietati i contatti fisici tra il detenuto e le loro compagne.
Da diversi anni il fotoreporter romano segue uno dei conflitti contemporanei più complessi e irrisolti: la guerra israelo-palestinese. «Quando alla fine del 2008 arrivai per la prima volta all’aeroporto di Tel Aviv cominciarono i bombardamenti dell’operazione Cast Lead, i primi dopo la fine della seconda Intifada, la rivolta contro la presenza israeliana nel territorio palestinese scoppiata nell’autunno del 2000 che si era conclusa cinque anni dopo. Da allora ho seguito gli sviluppi del conflitto rivolgendo il mio sguardo soprattutto alle comunità, alle famiglie, cercando di cogliere il significato che queste persone danno al vivere in una terra così tormentata e alla lotta che quotidianamente combattono per difenderla», ci racconta Antonio.
«Molti uomini che vivevano nei campi profughi, quasi tutti attivisti politici, erano stati arrestati dai militari israeliani, lasciando le famiglie e l’intera comunità senza una guida e una fonte di sostentamento economico. Erano mariti, padri, figli condotti nelle prigioni israeliane con non meglio precisate accuse di terrorismo. Nel 2014 alcune donne della comunità dei rifugiati indissero una conferenza stampa per rivelare pubblicamente di aver avuto dei figli con la fecondazione in vitro, utilizzando lo sperma dei loro mariti, portato all’esterno del carcere con sistemi di fortuna». Un gesto rischioso in quel contesto… «Infatti quando uscì la notizia i mariti detenuti furono messi in isolamento per diversi mesi e sottoposti a pesanti torture corporali. Dopo di loro altre donne si sono sottoposte alla fivet ma hanno evitato di parlarne pubblicamente sia per scongiurare ritorsioni nei confronti dei mariti, sia per il timore che le autorità allontanassero i figli nati con questa pratica. Con il tempo, però, la situazione si è in parte normalizzata perché lo stato d’Israele ha cominciato a tollerare, in qualche modo, queste nascite. Certamente i contatti fisici tra i detenuti e le loro mogli continuavano ad essere vietati durante le rare visite concesse ai familiari, e le mogli venivano perquisite molto accuratamente».
(la versione integrale dell’articolo è pubblicata su “Fotografare” #10, maggio 2020)
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ANTONIO FACCILONGO
Antonio Faccilongo è un fotografo documentarista, filmmaker, docente universitario di fotografia ed è rappresentato dall’agenzia Getty Reportage. Collabora con le maggiori riviste italiane e internazionali, tra cuiL’Espresso, Sette, Internazionale, National Geographic, Le Monde, Der Spiegel, Stern, Geo, The Guardian, Newsweek, Cnne Die Zeit. Il suo lavoro si concentra su storie di interesse sociale, politico e culturale in Asia e Medio Oriente. www.antoniofaccilongo.comw

- Titolo: Habibi
- Autore:Antonio Faccilongo
- Testi:Antonio Faccilongo, Dr. Paridah Abd Samad, Taha Muhammad Ali
- Anno:2020
- Editore:FotoEvidence Press, New York (USA)
- Lingua:bilingue (italiano / inglese)
- Prima edizione
- ISBN:-978-1-7324711-6-0



