Leopardi, lago Nakuru (Kenya). Canon EOS 1D Mark III con obiettivo EF 500mm f/4L IS II USM, 1/1000sec f/4, ISO 320. ©Guido Bissattini

I leopardi di Nakuru

In tempi di prolungato lockdown, preclusa ogni prospettiva di viaggio, molti fotografi hanno rispolverato vecchi hard disk in cerca di esperienze e di emozioni passate. Così, con il ricordo, sono tornato in Kenya, nella Rift Valley, dove ho ritrovato i leopardi di Nakuru.

di Guido Bissattini

Negli ultimi mesi, avendo dovuto annullare tutti i miei viaggi e workshop programmati a causa della pandemia, ho avuto il tempo per fare un rewind delle mie scorribande fotografiche. In particolare, ho ripercorso un periodo della mia carriera che potrei definire “il periodo africano”. Dal 2006 al 2012 ho accompagnato molti safari fotografici in Africa, tra Kenya e Tanzania, ricavandone un discreto archivio, una grande esperienza e numerose, indelebili e forti emozioni.

La fotografia di cui vi racconto in queste pagine risale proprio a quel periodo. Mi trovavo in Kenya, a Nakuru, città famosa principalmente per il suo lago salmastro punteggiato di rosa da decine di migliaia di fenicotteri, ma che ospita anche gran parte delle altre specie più rappresentative della fauna africana. 

Così quando quella mattina di fine settembre, mentre scendevamo dal lodge verso il lago per fotografare i fenicotteri all’alba, ci siamo imbattuti in un leopardo che sonnecchiava su un grande tronco caduto. Così ho deciso di cambiare programma, pregando il nostro driverdi fermare il veicolo e di posizionarsi secondo le mie indicazioni per avere un punto di ripresa in favore di luce e ottimale per tutti gli occupanti del fuoristrada. 

L’alba sul lago con i fenicotteri c’è bene o male tutti i giorni – ho pensato – ma un leopardo così ben messo, a distanza di ripresa utile, con i primi raggi di sole della giornata che filtrano tra i rami della foresta, è un’occasione ben più rara e allettante. 

Come al solito, si giocava una carta, e solo i seguito si sarebbe saputo se vincente o meno. 

Ben posizionati, avevamo fatto i primi scatti mentre l’animale dormiva, ma la mia idea era quella di restare appostati in attesa che accadesse qualcosa di meglio, ad esempio il suo risveglio, seguito magari da una stiracchiata e da un bello sbadiglio, tipico dei felini quando si rimettono in movimento dopo un’intensa dormita.

Steso come un tappeto sul tronco, le zampe e la coda penzoloni, il grosso gattone sembrava non avere alcuna intenzione di gratificarci oltre. Ogni tanto alzava la testa giusto un istante per lasciarsi ricadere assonnato subito dopo, proprio come fanno i nostri gatti di casa quando sono pigri e svogliati.

In ogni caso, noi eravamo pronti, i teleobiettivi fuori dal tetto aperto della Toyota, saldamente appoggiati sui beanbagnecessari per scattare con tempi di otturazione relativamente lenti in rapporto alla lunga focale, imposti dalla necessità di evitare un valore ISO troppo elevato e dalla luce filtrata dai rami della foresta. Va detto che stiamo parlando del “lontano” 2007 che, in termini di evoluzione delle reflex digitali, si può definire un passato davvero remoto.

Al mio 500mm f/4L prima serie, fedele compagno di allora, era agganciata una Canon EOS 1D Mark III, top di gamma dei tempi, ma di certo lontana anni luce dall’erede EOS 1DXMark IIIequivalente odierna. Con un sensore APS-H (1.3x) da 10.1 megapixel e la tecnologia di allora, non poteva certo reggere sensibilità elevate come quelle di oggi: 400/800 ISO era il valore massimo di riferimento per avere scatti di qualità accettabile, paragonabili probabilmente ai 3200 attuali, se non di più, in termini di contenimento del rumore e definizione.

Intanto era passata una bella ora abbondante, il gattone non accennava a svegliarsi e tra i partecipanti cominciava a subentrare la noia e un certo malcontento, col dubbio che fosse il caso di spostarsi sul lago in cerca di qualcos’altro. Ma a costo di essere impopolare volevo credere fino all’ultimo nella carta posata sul tavolo: qui eravamo e qui saremmo rimasti. 

Fortunatamente per la mia incolumità, non molto tempo dopo è successo ben più di quanto sperato e immaginabile: un secondo leopardo si è materializzato silenziosamente ai piedi del tronco, vi è salito agilmente e si è sdraiato accanto all’altro, svegliandolo. Così il tanto atteso sbadiglio, che di per sé sarebbe stato sufficiente per cogliere una buona scena, si è arricchito di un elemento a sorpresa destinato a migliorare la situazione oltre ogni aspettativa, colmando lo spazio vuoto sulla destra del tronco e rendendo la composizione perfetta, con buona pace dei fenicotteri e degli impazienti. 

(la versione cartacea dell’articolo è pubblicata su “Fotografare” #17, marzo 2021)

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Leopardi, lago Nakuru (Kenya).
Canon EOS 1D Mark III con obiettivo EF 500mm f/4L IS II USM, 1/1000sec f/4, ISO 320.
©Guido Bissattini

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