Nei suoi delicati collage Ludovica Bastianini produce un moto d’accusa sia contro l’immagine femminile stereotipata, sia contro pratiche abominevoli come lo sposalizio in età infantile e l’infibulazione, impastando la dimensione simbolica con un’urgenza sociale e civile tangibile.
Il corpo è mio e lo gestisco io” urlavano a gran voce le donne negli anni Settanta rivendicando la libertà del proprio utero, durante quel decennio di manifestazioni in cui le donne lottava- no per la legalizzazione dell’aborto. “Io sono mia” svettava su striscioni e vetrine, scritto con lo spray, durante la lunga storia di rivendicazioni femminili, di conquiste contro pregiudizi e battaglie ideologiche. Qualcosa si è ottenuto da quelle contestazioni, ma forse troppo poco. Non abbastanza da rendere storicizzata l’autonomia della donna e da affrancarla dalla perenne lotta per rivendicare il suo essere al mondo e la sua identità, per renderla immune da soprusi fisici o psicologici.
Di questo racconta Ludovica Bastianini nel suo progetto In your place. Di come quegli slogan siano stati solo l’inizio per fermare un meccanismo delegittimante nei confronti della donna, che anche oggi non si è ancora in grado di contenere. Ecco che le immagini di Ludovica ci parlano, per l’appunto, di spose bambine, di infibulazione e di come esista ancora quell’approccio dogmatico, prima “religioso” e “patriarcale”, ora definito “occidentale”, che fa crescere le bambine come prototipi di donne, non come donne.
Ludovica tocca queste annose e importanti tematiche con poesia e delicatezza, dando forma a collage fatti di fotografie e merletti che sanno di casa e di intimità, ma che possiedono una forza d’urto non meno violenta di uno slogan.
Nei diversi festival in cui hai presentato In your place è stato molto apprezzato sia per le sue modalità tecniche e concettuali di rappresentazione, sia per il pensiero critico sulla violenza femminile di cui si fa porta- voce. Come lo hai progettato?
Più che progettato, In your place è nato da un’intuizione visiva e da un flusso di pensieri e riflessioni. Nel 2016 ero molto attenta alle campagne di sensibilizzazione di Amnesty International sul problema del matrimonio infantile. Ho osservato il lavoro della fotografa Stephanie Sinclair, un reportage lungo e molto ampio sui matrimoni infantili nel mondo. Un progetto del genere meriterebbe più attenzione globale, eppure alle masse non arriva. Cos’è che, invece, arriva facilmente ovunque, a tutti? La pubblicità. Da queste riflessioni mi sono trovata a vestire con la fantasia le pubblicità che vedevo per strada e sulle riviste, a immaginarmi una sorta di pubblicità alternativa dove ciò che si vende non è un prodotto ma uno sguardo empatico sulla realtà. Il resto del lavoro è stato di sperimentazione e pratica quotidiana, per quasi tre anni.
La tua ricerca induce a un pensiero sulla violenza femminile, non lo rappresenta in maniera documentaristica. Attraverso un processo di sottrazione e di decontestualizzazione dell’immagine ne fai emergere la dimensione simbolica. In che modo hai fatto dialogare il simbolismo iconografico con la tangibilità di un sentire collettivo contro i crimini della violenza umana?
Mi sono lasciata suggestionare dalla riconoscibilità di simboli universali e gesti semplici, dall’iconografia del colore che travalica le specificità culturali e dalla coscienza collettiva di esperienze comuni. L’infanzia non è certo stata drammatica per tutti, ma sicuramente esiste nell’inconscio di ognuno di noi un dolore, una delusione legata a un evento o a una persona. I gesti performativi che opero sulle immagini sono, nella loro essenzialità, portatori di quel dolore: un taglio, una frattura, una rimozione, una cucitura. Lo stesso discorso vale per i materiali: i merletti, le garze, le stoffe e i colori associati al femminile. Il lavoro del cucito è stato storicamente e forzata- mente destinato alla donna. Le nuove generazioni forse non avranno più questo legame, ma noi conserviamo centrini fatti all’uncinetto e vestitini ricamati dalle nostre nonne. E non tutte loro hanno potuto scegliere chi sposare.
LUDOVICA BASTIANINI
Ludovica Bastianini, nata nel 1986, si è laureata in Storia dell’Arte a Napoli e ha studiato fotografia e arti visive presso l’Istituto Idep, a Barcellona (2011) e presso la Nuova Accademia di Belle Arti – NABA, a Milano (2015). Nel 2017 è stata selezionata tra i talenti emergenti di Circulation(s) – European young photography festival, in esposizione al Centquatre di Parigi, e da allora le sue opere sono state esposte o selezionate in numerosi premi e festival (Life Framer, Photography Grant, Premio Tabò – Festival Fotoleggendo Roma, Athens Photo Festival, Copenaghen Foto Festival e Premio Voglino). Ludovica combina il linguaggio della fotografia con tecniche miste come la pittura, il cucito, il collage, l’illustrazione per l’’infanzia e la videoanimazione. La sua ricerca si concentra sulla manipolazione diretta delle immagini e su come questa possa modificare la nostra comprensione della realtà. https://ludovicabastianini.tumblr.com
https://www.instagram.com/ludovica_bastianini/
di Francesca Orsi
(la versione integrale dell’articolo è pubblicata su “Fotografare” #16, Febbraio 2020)
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