La ricerca di Giovanni Presutti si muove sul confine sottile tra realtà e finzione. Uno spazio insidioso in cui intercetta dissonanze e fratture della contemporaneità e rielabora forme e significati noti, creando opere stranianti prodotte da uno slittamento percettivo e di senso.
Le opere di Giovanni Presutti demoliscono certezze e illusioni. Parlano di sogni che si infrangono un attimo dopo essersi realizzati, di bulimia e dipendenza da riti tossici che non appagano mai del tutto chi li pratica. Così il mondo familiare e rassicurante costruito dall’uomo a sua immagine e somiglianza, nelle sue mise en scènediventa improvvisamente sconosciuto e ostile, generando un turbamento intenso, frutto di una riflessione profonda sul rapporto tra l’uomo e il territorio, sulle relazioni sociali sempre più complesse e sui bisogni indotti che condizionano gusti e scelte personali e collettive.
Nell’universo affollato di stimoli seducenti e pervasivi dell’epoca contemporanea, Presutti rimette tutto in discussione senza stravolgerne i connotati estetici ma rivelandone la natura fittizia, i conflitti, i timori nei confronti del cambiamento o della diversità che in esso hanno origine e che spesso paralizzano le nostre coscienze.
Nascono così i suoi progetti in cui documento e fiction si fondono creando scenari ibridi d’impronta cinematografica che della realtà e della contemporaneità sono solo una rappresentazione artificiosa.
«Da bambino amavo disegnare ma non ero portato. A distanza di anni, la fotografia mi ha permesso di creare ciò che mi sarebbe piaciuto fare con la matita. E la direzione dominante che hanno preso i miei lavori è proprio la costruzione di mondi altri», racconta Giovanni. Mondi caleidoscopici che racconta attingendo a generi e linguaggi diversi – dalla documentazione al concettuale, alla performance– e catturati in immagini fisse o dinamiche prodotte con vari strumenti. Molti suoi lavori sono frutto di operazioni di meta-fotografiain cui rielabora immagini derivate da altri media visuali, come la webcam o lo schermo di un computer, creando connessioni visive con altri ambiti virtuali o con oggetti fisici reali.
Il tuo è un approccio decisamente eclettico che, tuttavia, gravita attorno a un unico universo: quello della contemporaneità che osservi nelle sue molteplici declinazioni, attingendo a tanti linguaggi…
Nella postfotografia l’artista non può limitarsi a produrre delle opere ma deve creare situazioni che prescrivano un senso. Come sostiene il fotografo e saggista Joan Fontcuberta, nella saturazione di immagini della nostra epoca vi è la necessità di un’ecologia delle immagini con il riciclo delle stesse. Anche i discorsi sulla proprietà delle immagini vengono delegittimati in favore delle pratiche di condivisione. Recentemente ho rappresentato il periodo di lockdown con il progetto Give me liberty or give me death in cui ho realizzato un videoart con immagini riprese dalle webcam. Ho rivolto la mia attenzione ai giganteschi pannelli pubblicitari che solitamente mostrano gli slogan della narrazione dominante neoliberista, come quelli iconici di Times Square a New York. I messaggi propagandistici e incitanti al consumo hanno fatto spazio a comunicazioni sulla sicurezza e sulle restrizioni dovute alla pandemia rivolti a una platea inesistente, in un’atmosfera che riporta al futuro distopico di Blade Runner…
(la versione integrale dell’articolo è pubblicata su “Fotografare” #16, febbraio 2021)
> ABBONATI



