Nel suo progetto Still Birth, Chiara Ernandes ha cercato di ricostruire la sua esperienza personale vissuta nel momento in cui è venuta al mondo. E lo ha fatto cominciando dalla morte per contraddizione. «Perché la prima cosa che mi è successa è stata morire, invece di nascere».
Nasce l’uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento (…)” scriveva Giacomo Leopardi quasi due secoli fa. Chiara Ernandes quel rischio lo ha vissuto sulla sua pelle, affrontando e superando la morte proprio nel momento in cui si affacciava alla vita. Un’esperienza che ha voluto elaborare a distanza di tempo, cercando di ricucire i pezzi della sua storia personale e familiare e interrogandosi sul senso del suo stare al mondo. Per farlo ha attinto a un universo di simboli ancestrali in cui ha ritrovato gli invisibili legami della vita con la sua fonte primigenia – la natura e i suoi elementi – ma anche con le sue radici biologiche e culturali – la famiglia – dando forma a contrappunti interessanti sotto forma di miraggi, visioni, déjà vu ottenuti attraverso interventi fisici sulle immagini, aggiunte, eliminazioni, ricostruzioni e reiterazioni.
La narrazione che ne deriva mescola finzione e realtà, istinto e coscienza, elementi dissonanti che si armonizzano in una sorta di sequenza filmica della quale è dato vedere solo alcuni fermo immagine – infatti “still”, forse non a caso, vuol dire “fotogramma” ma anche “fermo, immobile” – sospesa tra vero e verosimile, come avviene nel cinema ma anche nel teatro, un contesto che Chiara, fotografa di scena, conosce bene. È in questi luoghi dell’immaginario che tempo e spazio appaiono dilatati, spesso in modo estremo, iperbolico, e le storie prendono forma oppure si dissolvono. Come quella di Chiara, che celebra il respiro della vita, le sue impressioni e affronta il viaggio senza preoccuparsi troppo degli approdi, delle risposte.
Emanuela Costantini
«Sono nata morta l’8 agosto del 1989. Cianotica e ipotonica sono stata intubata e rianimata con un massaggio cardiaco: al quinto minuto i miei valori vitali si sono stabilizzati. Negli anni questo evento ha assunto per me significati diversi, collocandosi sempre in un angolo del mio corpo che ne custodiva il segreto, le ragioni assolute, le do mande senza risposte. Ha legittimato le mie stranezze, ha difeso i miei limiti, ha esasperato la mia disperazione e la mia diversità, la mia lontananza dal mondo, ha sostenuto la mia disobbedienza. Poi ho sentito la necessità di cercarmi, di dichiarare a me stessa che esistevo: ho cominciato a chiedere al mio corpo di ricordarsi dove era stato, che lingua aveva parlato mentre cercava di cominciare ad esistere. Mi sono vestita da speleologa, da astronauta, da palombaro, da scienziata, da ricercatrice: sono entrata nei miei crateri siderali, nelle mie calcificazioni rocciose, nella dimensione fusionale che assume il tempo quando non esiste. Mi sono avvistata sparpagliata nella luce, mi sono confusa in una pietra, mi sono nascosta dentro mia madre da cui non poteva esistere separazione. Ho cominciato dalla morte per contraddizione.
A un certo punto ho voluto tradurre in immagini questa esperienza. Avevo bisogno di sbrogliare alcuni nodi e spiegare a me stessa da dove provenisse questa energia inquieta e spesso dolorosa. Sentivo la necessità di ricostruire e mettere insieme pezzi disgregati e sparpagliati della mia storia familiare e di vedere in che modo esisto nel mondo.
Il mio progetto affronta e declina in maniera simbolica l’esperienza della mia nascita; questo evento autobiografico diventa l’inizio di una narrazione personale, dove l’esigenza principale è quella di fare ordine nel mio vissuto familiare e trovare un mio mito fondativo. Ho cominciato dalla morte per contraddizione perché la prima cosa che mi è successa è stata morire, invece di nascere. Da questo ne ho ricondotto la mia indole oppositiva, mossa sempre da uno spiccato esistenzialismo e grande irrequietezza. Ho sempre saputo quanto era accaduto nel momento in cui sono venuta alla luce. In famiglia non è mai stato vissuto come un tabù, anzi era una cosa su cui sorridere e che spesso ha giustificato la distanza che sentivo dagli altri.
Nonostante la ricerca che ho portato avanti, non ho ancora capito bene se questa esperienza abbia in qualche modo condizionato la mia esistenza e il mio modo di essere. Approfondendo questi argomenti ho scoperto che le teorie sul condizionamento perinatale sono molte e contraddittorie ed esplorano anche problematiche etiche e religiose. In generale, non credo sia facile arrivare a una certezza assoluta, così come non lo è nel mio caso. Posso solo provare a dare, come ho cercato di fare nel mio progetto, delle rappresentazioni archetipiche e simboliche e a ripercorrere la mia storia al contrario».
IL PROGETTO
«Questo progetto è stato realizzato nell’arco di due anni circa. Il metodo con il quale ho proceduto ha vissuto diversi momenti e fasi. Ho lavorato sul mio archivio familiare, raccogliendo immagini e documenti su cui sono intervenuta successivamente. La raccolta di materiale familiare e iconografico è stata una parte importante del progetto, grazie alla quale ho potuto lavorare su diversi livelli comunicativi, utilizzando altri supporti oltre alla macchina fotografica. L’archivio familiare, dunque, è molto presente, ma per me era importante che avesse un significato diverso, o forse proprio che ne avesse uno. Quindi l’intervento sulle fotografie diventava funzionale al lavoro solo dopo averle reinterpretate.
Il lavoro è stato seguito durante la progettazione e lo sviluppo da Francesco Rombaldi, curatore ed editore, e successivamente pubblicato dalla giovane casa editrice romana Yogurt edition».
ESSERE PIETRA
«Le pietre, così come altri oggetti e soggetti presenti nel mio lavoro, hanno un significato specifico. Ne sono affascinata da molti anni, ho per esse un grande interesse e mi entusiasmo quando mi trovo in paesaggi caratterizzati dalla loro presenza. Sono elementi inerti, immobili. La mia storia personale ha avuto spesso a che fare con l’assenza di movimento – che poi è l’assenza di vita – in senso vero o simbolico; la difficoltà di evolversi ed emanciparsi da situazioni e circostanze catastroficamente ferme.
Penso che in qualche modo continuerò a indagare sulla mia storia personale. Questo progetto ha delineato meglio i miei metodi di ricerca e i miei campi di interesse. I miei progetti hanno sempre un movente personale e cercano di arrivare poi a raccontare qualcosa di più assoluto, slegato dalla mia singola esperienza».
CHIARA ERNANDES
Nata a Roma l’8 agosto del 1989. Dopo il liceo classico ha frequentato la Scuola Romana di Fotografia. Si è specializzata e ha lavorato come fotografa di scena per importanti teatri romani, interessandosi al teatro contemporaneo e performativo. Nel 2018 ha frequentato la prima edizione del laboratorio curatoriale proposto da Yogurt, uno spazio focalizzato sulle arti visive e la fotografia contemporanea. Nel 2019 ha vinto una borsa di studio e ha realizzato il progetto fotografico a lungo temine intitolato Still Birth. Il lavoro è diventato un libro nel 2021 e una mostra nel 2022 durante il festival Fotografia Europea. Negli ultimi anni ha arricchito il suo percorso attraverso la sperimentazione di diversi linguaggi visivi, includendo possibili declinazioni artistiche e performative . Attualmente lavora a un nuovo progetto di ricerca. C
Il progetto fotografico Still Birth di Chiara Ernandes è il 2° classificato – Premio Speciale “Fotografare” – all’open call Midway: between past and future lanciata in occasione della 1° edizione di Fiumefreddo Photo Festival, in corso a Fiumefreddo Bruzio (CS) dal 29 luglio al 10 settembre.
Maggiori informazioni sulla rassegna al sito www.fiumefreddophotofestival.it
www.fiumefreddophotofestival.it

Still Birth © Chiara Ernandes